COLONNA SONORA

LE TRACCE

OME EWE

La voce narrante dell’autista del nostro fuoristrada, Byambaa, evoca la leggenda di Ome Ewe, una vecchia che abitava in una pagoda circondata da una foresta di pini secolari d’oro e d’argento, attorno la quale sgorgavano nove sorgenti di acqua calda del colore del cielo. Da queste acque fertili emergevano uova che Ome Ewe stringeva a quel suo seno che avrebbe allattato e nutrito una infinità di bambini. Poco dopo la loro nascita Ome sollevava gli infanti con grande fermezza. Li sollevava alti sopra di lei, guardandoli, poi li sculacciava con tenerezza, dicendo loro: “Vai, nasci!” In quel preciso istante la linea impercettibilmente curva dell’orizzonte veniva solcata. I bambini nascevano portando sul sedere il segno della mano della vecchia: la macchia mongolica.

LA MACCHIA MONGOLICA

La quasi totalità dei mongoli nasce con questo timbro sull’epidermide. Khokh Tholb, lo chiamano, Macchia blu. Lo stesso Cinghis Khan, l’imperatore che per i mongoli ha quasi assunto il carattere di un antenato divino e da cui tutti sentono di discendere, nacque con la macchia azzurra. Un livido bluastro, luogo di residenza dell’inconosciuto , blu come il colore delle sciarpe votive, come il cielo padre, come l’antico lupo che dato il colore alla nazione. Un segno divino di vita e di forza, cui la marea delle chitarre prova a dare voce e tonalità, ripetendosi con ostinazione senza mai smentirsi.

HEAVY DESERT

350 km di heavy desert davanti a noi. No water, only rocks. La Waste Land di T.S.Eliot. La rotta da seguire è semplice – dicono – quando incontreremo una montagna nera dovremo girare a destra. Niente di meglio della sinfonia di seghe metalliche di Simone Beneventi per accompagnare la percezione allucinatoria di quella strada che non finirà mai.

SUGLI ALTAJ

Il diradarsi progressivo della vita è uno spettacolo da non perdere. Sempre meno yak. Nessuna tenda in vista. L’erba che si abbassa, si appiattisce, le sassaie. Una colonna di fumo che si leva dietro la collina racconta che anche là vivono uomini. E con loro gher, bestie, fuoco. Così vi vive, sugli Altaj. Una catena di montagne severe dove il ghiaccio nulla concede, ma che lascia in ogni caso comporre un brano dove la vita vuole scorrere con gioia nella melodia canzonettara delle chitarre.

DJINN

Deserto, dune, sabbia. Una evocazione sahariana per una propaggine del Gobi, da cui deriva il Djinn, spiritello nella cultura araba, creatura di mediazione tra il mondo degli angeli e quello degli uomini. Vive attorno alle pozze d’acqua ferma, e formula parole che non sono da umani. E’ necessario creare un clima di sospensione inquieta per incontrarli, e sentirli pronunciare.

CASCO IN VOLO

Un nuovissimo arrangiamento per una canzone già proposta nell’album “L’estinzione di un colloquio amoroso”. Sono decadute le parole del testo, sostituite da una corda metallica suonata con l’archetto e resa rimbombante da una cassa di tamburo; e da una sinfonia di chitarre che si sovrappongono sul finale, dando il senso di una liberazione. Il nuovo titolo potrebbe essere M’alzo in volo: come guardare una moto d’epoca solcare la steppa per chilometri infiniti, o un volo di falco alto sulla nostra tenda.

SHU

“Shu” dicono i mongoli ai loro cavalli quando vogliono farli partire al galoppo. Non è un urlo imperioso, può essere una voce, anche un bisbiglio, a volte un intenerimento. E’ un segno di dimestichezza reciproca. Il grappolo delle note vorrebbe rendere la consapevolezza di questo scambio di riconoscenze, che significa la vita per ognuna delle due parti. L’eternità è la misura dell’uomo riconoscente.

HUU

Huu era il nome di una anziana musicista incontrata a Dalanzadgad venti anni prima di questo nuovo viaggio. Huuhenduu, in realtà, Huu per gli amici. Maestra di cerimonie, virtuosa dello scacciapensieri. Di lei rimane soltanto il tratto sottostante, il suo esserci stata. La sua voce sostituita da una coro di monaci registrato a suo tempo e da una chitarra che si allunga nelle quattro direzioni, ringraziandola.

LUNGHE D’OMBRE

Unica canzone “vera”, con testo e intenzioni di strofa ritornello. Quello che racconta, senza dirlo, è che senza portarne i segni sulla pelle, mi sento punto anch’io da una macchia mongolica. Ed è come se ognuna delle due vite, quella reale di casa, quella irreale qua – o è viceversa? – fosse contaminata dalla presenza dell’altra. Accettare questa lacerazione, convivere con le sue conseguenze -l’estinzione, la rinuncia a conservare, il carattere spietato dell’esistere – essere qui e là separando corpo e mente: solo in questo mi pare di intuire l’eventualitàdi un equilibrio.

KHOVD

Khovd, capitale scintillante del pianeta Marte. Si afferra tutta con un solo colpo d’occhio, l’antica Cobdo dai tetti colorati, e di tante gradazioni si sente il bisogno dopo l’uniformità di un deserto di sassi che nessuno riesce a domesticare. Un miraggio per suoi colori, per l’evidente civiltà, una pausa nel deserto, ma è una bellezza che va conquistata. Il ritmo delle chitarre e del basso conduce al cuore segreto della città, al suo pulsare di secoli. Deserto africano, steppa, west americano, tratti siberiani, residui manchu. Dove siamo?

I CAMMELLI DI BACTRIANA

Quando appaiono – i cammelli di Bactriana – è a tutti evidente la loro superiorità. Per avere tanto camminato, da Battra nell’Afghanistan fino al Gobi e oltre; per il grugnito canoro, per il piede che si poggia con naturalezza sulla polvere, per la scarsa capacità di bere, per la taglia e il pelo. Occorre tacere, diradare i suoni, lasciarli cantare solo sul finale, accompagnando melodicamente la loro uscita dalla scena.

MONGOLIA INTERNA

Forse questo è il modo per assolvere i debiti contratti con le terre che ci tengono legati: accettare questa lacerazione, saperla nostra, nell’impossibilità di compiere una vita doppia, o tripla, come si vorrebbe. Lasciare che guidi le nostre scelte, senza ritenere di poterla rimarginare. Sentire la Mongolia in discesa in noi, comprendere l’Altrove che reca con sé. Ai vocalizzi di Silvia Orlandi è affidato il compito di non creare barriere, frapposizioni, a un percorso che sarebbe stato difficile evitare.